“Io ho qualcosa che non va. È la prima cosa da sapere. Ho dei tic e urlo.”
“Siamo una famiglia di disabili: è come i pellerossa, ne basta uno della tribù che prendono tutti gli stessi segni, io sono disabile, la mamma di Arturo è disabile, i nonni sono disabili, e anche il Botanico, vedi quel signore là che sta fumando fuori dal balcone? È un nostro caro amico, conosce Arturo da quando è nato, così, è disabile anche lui.”
“Ci ho messo tempo per capire e ce ne vorrà per sempre. Capire tu dove fossi, dietro quale lettera della parola disabilità ti stessi nascondendo, con quale ti fossi armato per portare avanti la tua vita, in un mondo che non ha proprio la forma della promessa.”
“Molte volte il disabile è commiserato e con ciò discriminato proprio da quelli che hanno paura di riconoscersi in lui, direttamente o indirettamente.”
“Il problema dell'handicap lo vivo in maniera diretta da 31 anni, da quando è nato mio figlio, ma avevo sempre escluso di farne un racconto autobiografico, perché non ho interesse per la mia autobiografia, perché penso che l'autobiografia, almeno nel mio caso, mi renderebbe schiavo mentre il romanzo mi rende libero.”
“Non solo le persone fisicamente disabili hanno esperienze che non sono accessibili ai normodotati, ma sono anche in una posizione migliore per trascendere i miti culturali sul corpo, perché non posso fare le cose che i normodotati sentono di dover fare per poter essere felici, 'normali' e sani... Se i disabili fossero davvero ascoltati, avrebbe luogo un'esplosione di conoscenza del corpo e della psiche umani.”